Correre in carrozzina non è solo sport, ma un atto di libertà. Ogni volta che partecipo a una gara, ogni volta che attraverso il traguardo, sento di aver superato un confine, non solo fisico ma anche culturale e sociale. Da anni corro con una carrozzina normale e un pettorale normale, senza alcuna distinzione rispetto agli altri atleti. Non cerco privilegi, ma parità. La mia presenza tra i podisti vuole essere un segnale chiaro: lo sport deve essere inclusivo, accessibile e aperto a tutti.
L’esperienza della corsa su strada
La corsa su strada in carrozzina è un’esperienza unica. Le prime volte che ho affrontato un percorso cittadino ho dovuto imparare a gestire l’asfalto irregolare, le salite, le discese e gli imprevisti del percorso. Non nego che ci siano difficoltà: i marciapiedi sconnessi, le buche, i tratti di pavé sono ostacoli che spesso non vengono nemmeno presi in considerazione dagli organizzatori delle gare. Ma questo non mi ha mai fermato. Anzi, ha rafforzato in me la convinzione che la strada, proprio come la vita, sia un territorio da conquistare.
Correre significa sentire il vento sul viso, percepire l’adrenalina della partenza, avvertire il battito accelerato del cuore mentre il traguardo si avvicina. Non importa se le ruote prendono il posto dei piedi: la fatica, la determinazione e la voglia di arrivare sono le stesse. Ogni gara è una sfida, ma anche un’opportunità per dimostrare che la disabilità non definisce chi sono, bensì il modo in cui affronto la vita.
La difficoltà maggiore, oltre agli ostacoli fisici, è spesso quella mentale e sociale. In molte occasioni mi sono trovato di fronte a sguardi di incredulità o di compassione, come se correre in carrozzina fosse un’impresa straordinaria. Ma la verità è che per me e per tanti altri è semplicemente una passione, un modo per mettermi alla prova e sentirmi vivo. La fatica è reale, i muscoli bruciano, le braccia devono lavorare incessantemente per mantenere il ritmo, ma è una fatica che ripaga con ogni metro percorso.
Inoltre, la gestione dell’energia è fondamentale: a differenza della corsa a piedi, in cui si possono variare il passo e la frequenza respiratoria, nella corsa in carrozzina ogni spinta deve essere precisa ed efficace. Bisogna distribuire lo sforzo in modo intelligente, dosando le energie per non trovarsi senza forze nelle fasi finali della gara. E quando arriva il momento dello sprint, è un’esplosione di determinazione, una lotta contro la fatica e la resistenza del terreno.
Inclusione o semplice tolleranza?
Spesso si parla di inclusione nello sport, ma la realtà è che in molti casi si tratta solo di tolleranza. Troppe volte ho visto gare che non prevedono alcuna considerazione per chi corre in carrozzina, eventi in cui mancano spazi adeguati o regolamenti che non contemplano la nostra partecipazione. Non basta accettare la presenza di atleti con disabilità: bisogna garantire le condizioni per una vera equità.
A volte, persino ottenere l’iscrizione a una gara può essere una battaglia. Le categorie di partecipazione non sempre prevedono la presenza di atleti in carrozzina, e se non si rientra in categorie specifiche si rischia di essere esclusi. Per questo è fondamentale che gli organizzatori inizino a pensare in modo più ampio, integrando davvero tutti gli atleti senza creare separazioni inutili.
Eppure, ci sono momenti in cui mi rendo conto che qualcosa sta cambiando. Quando vedo il pubblico incitarmi come qualsiasi altro atleta, quando ricevo un cinque da un runner che mi supera o quando sento di aver ispirato qualcuno a non arrendersi, capisco che la mia corsa non è solo mia.
L’importanza della visibilità
Una delle ragioni per cui corro è dare visibilità a chi, come me, vuole praticare sport senza sentirsi un’eccezione. Troppo spesso gli sport paralimpici vengono relegati in spazi separati, come se fossero un’altra realtà rispetto allo sport “normale”. Ma io non voglio essere considerato un atleta speciale: voglio solo essere un atleta. Ecco perché partecipo alle gare con un pettorale normale, senza corsie preferenziali o categorie separate.
Correre alla pari con gli altri è una battaglia che combatto con il mio stesso movimento, metro dopo metro, gara dopo gara. Non si tratta solo di dimostrare qualcosa a chi guarda, ma di affermare con i fatti che non ci sono barriere che non si possano abbattere.
Il futuro della corsa inclusiva
Sogno un futuro in cui non ci sia bisogno di parlare di inclusione nello sport, perché sarà un dato di fatto. Un futuro in cui ogni gara sarà progettata tenendo conto di tutti i partecipanti, senza distinzioni. Nel frattempo, continuo a correre, a spingere le ruote della mia carrozzina con la stessa determinazione con cui tanti atleti sollevano le loro gambe per superare la fatica.
E ogni volta che attraverso il traguardo, porto con me un messaggio: la corsa non è questione di gambe, ma di cuore. E il cuore, quello, non conosce barriere.